La Storia dell’ingrato
C'era una volta, in un villaggio yoruba avvolto dalla savana, un gatto di nome Osà, saggio e gentile, che viveva solo dopo aver perso la sua cucciolata. Osà era noto per la sua astuzia e per il suo cuore generoso; vagava tra le capanne, cacciando topi per i contadini in cambio di latte e riparo. Un giorno, mentre esplorava il sottobosco, udì un debole miagolio – no, un guaito – che non era il suo. Seguendo il suono, trovò un minuscolo cucciolo di cane, orfano e abbandonato, mezzo sepolto tra le foglie umide. La madre del cucciolo era stata uccisa da un cacciatore, e il piccolo, tremante e affamato, stava per soccombere alla fame e al freddo.Il cuore di Osà si intenerì. "Povera creatura", pensò, "anche se sei di un'altra specie, non posso lasciarti morire". Con grande cura, il gatto prese il cucciolo tra le fauci e lo portò nel suo rifugio, una cavità calda sotto le radici di un baobab. Lo leccò per pulirlo, lo scaldò con il suo corpo e lo allattò con il suo latte, fingendo che fosse uno dei suoi. Il cucciolo, che Osà chiamò "Aje" (che significa "ricchezza" in yoruba, sperando che portasse fortuna), crebbe forte e giocoso, inseguendo le code del gatto come un fratello, dormendo raggomitolato contro di lui e imparando a cacciare le prede piccole.
Gli anni passarono, e Aje divenne un cane adulto, robusto e veloce, con un manto lucido e zanne affilate. Osà era fiero di lui: "Ho allevato un figlio che onora la mia casa", diceva ai vicini animali. Insieme, dividevano i pasti, difendevano il territorio e raccontavano storie sotto la luna. Ma un giorno, mentre cacciavano una preda nel bush, l'istinto primordiale si risvegliò in Aje. Il cane, ora grande e affamato dopo una lunga corsa, guardò Osà con occhi diversi. L'odore felino, che da cucciolo aveva ignorato, ora gli riempiva le narici come una tentazione irresistibile. "Padre mio", ringhiò Aje con voce profonda, "ti ho sempre rispettato, ma la fame mi chiama. La mia natura è quella di un cane: i gatti sono prede, e tu sei un gatto. Voglio mangiarti, per soddisfare questo vuoto dentro di me".
Osà, attonito, sentì un brivido di tradimento. "Figlio mio", rispose con voce tremante, "ti ho salvato dalla morte, ti ho dato latte dal mio petto, ti ho insegnato la vita. Come puoi volermi divorare ora che sei grande?". Aje esitò, combattuto tra gratitudine e istinto, ma la fame vinse: balzò in avanti, pronto ad attaccare.
In quel momento critico, Osà invocò Ifá, il divino oracolo della saggezza yoruba. Consultò i suoi spiriti interni e compì un ebo – un sacrificio rituale – offrendo erbe, conchiglie e una piuma di colomba per placare gli ajogun (le forze del destino avverse). "Olodumare, padre del cielo", pregò, "salva questo tuo servo dall'ingratitudine del mondo". Ifá rispose attraverso il vento: un turbine improvviso, guidato da Oyá, l'Orisha dei venti e dei cambiamenti, avvolse Aje, scaraventandolo lontano nel bush. Osà fu risparmiato, ma ferito nel cuore.
Aje, confuso e pentito, vagò per giorni, realizzando la sua ingratitudine. Tornò umile al baobab, ma Osà, saggio, lo accolse con perdono, insegnandogli: "L'amore adottivo è un ponte fragile; l'istinto è un fiume che non si ferma. Impara l'umiltà, o il destino ti travolgerà come un uragano".

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