Osa tonti Iroso è il segno oracolare dove una donna innamorata salva un uomo in pericolo, dove una donna pone punto finale ad una guerra tra uomini forti, dove l'uomo si traveste da donna per prevalere sui rivali, dove Oyà diventa gelosa del proprio uomo e lo rinchiude in casa, quel segno di fuoco, vento e lampi, oggi è uscito sulla mia stuoia per una donna innamorata.
Ed ecco per te, la leggenda che ci racconta molto di più di quell'Orisha donna che è più forte di qualsiasi guerriero e che per il suo uomo riesce a tagliarsi persino le trecce.
Oyà, Iyansà |
Oyà pone fine alla guerra tra Shangò e Oggùn
Amante delle avventure rischiose e delle grandi imprese che ne aumentarono il prestigio e la resero famosa come donna determinata e coraggiosa, follemente innamorata di Shangò, Oyà ebbe occasione di salvare nuovamente il suo uomo. Fu quando lui prese la decisione di misurare le sue armi con Oggùn, un guerriero con una solida reputazione e uno dei combattenti più abili e vigorosi dell'intera regione.Impegnati più e più volte in combattimento, combatterono accanitamente e sempre il trionfo definitivo rimase, come l'ultima parola, sulle armi dei possibili vincitori. Le battaglie dolorose e gli incerti trionfi si prolungarono tanto da rendere Oggùn così impaziente da proporre a Shangò di chiedere l'intervento di Olofin per liquidare definitivamente l'incidente tra loro.
Ma, questa volta, da uomo a uomo, da soli e senza l'aiuto di nessuno, all'ombra di una ceiba annidata nel profondo della foresta e la cui posizione era favorevole per raggiungere facilmente l'alta collina dove risiedeva Olofi, di fronte al quale dovrebbero lottare. Sarebbe Olofi a presentare il vincitore che avrebbe ricevuto un premio al valore, sotto forma di un potente ashè.
All'alba del giorno convenuto, Shangò sellò il suo cavallo bianco e lo montò con un balzo, e dandogli una pacca sul collo, si mise a camminare. Ma ecco, cavalcando per una vasta pianura, il cavallo, spaventato dalla sua stessa ombra, improvvisamente fermò il passo, scalciando con impazienza, tirò le redini e lo fece con tale forza che le redini dovettero spezzarsi e il cavallo, frustato da un furioso turbine, che momentaneamente si presentò, riuscì a gettare via il cavaliere, e una leggera fuga si perse di vista nell'ampia pianura.
Shangò, ripresosi dalla caduta, contemplò per qualche istante la polvere che il cavallo lasciava nella sua folle corsa, e poi Shangò, trascinandosi dietro, si rifugiò sotto un albero frondoso. E nella sua penosa meditazione, si accorse che d'un tratto il suo umore scese a poco a poco, e sopraffatto dalla paura, cominciò a tremare, il suo coraggio sfuggiva ad ogni sussulto del suo corpo.
Nel frattempo, Oggùn aspettava camminando intorno all'albero di ceiba, incapace di sospettare che il suo coraggioso nemico avesse perso le ali; e appoggiandosi all'elsa del suo machete, calcolò freddamente la carneficina che avrebbe fatto del corpo di Shangò.
L'ora avanzava lenta e con i suoi minuti interminabili il grande guerriero Shangò demordeva nel suo proposito, che come un sudicio verme, giaceva a terra, senza gesti e senza coraggio.
All'alba del giorno convenuto, Shangò sellò il suo cavallo bianco e lo montò con un balzo, e dandogli una pacca sul collo, si mise a camminare. Ma ecco, cavalcando per una vasta pianura, il cavallo, spaventato dalla sua stessa ombra, improvvisamente fermò il passo, scalciando con impazienza, tirò le redini e lo fece con tale forza che le redini dovettero spezzarsi e il cavallo, frustato da un furioso turbine, che momentaneamente si presentò, riuscì a gettare via il cavaliere, e una leggera fuga si perse di vista nell'ampia pianura.
Shangò, ripresosi dalla caduta, contemplò per qualche istante la polvere che il cavallo lasciava nella sua folle corsa, e poi Shangò, trascinandosi dietro, si rifugiò sotto un albero frondoso. E nella sua penosa meditazione, si accorse che d'un tratto il suo umore scese a poco a poco, e sopraffatto dalla paura, cominciò a tremare, il suo coraggio sfuggiva ad ogni sussulto del suo corpo.
Nel frattempo, Oggùn aspettava camminando intorno all'albero di ceiba, incapace di sospettare che il suo coraggioso nemico avesse perso le ali; e appoggiandosi all'elsa del suo machete, calcolò freddamente la carneficina che avrebbe fatto del corpo di Shangò.
L'ora avanzava lenta e con i suoi minuti interminabili il grande guerriero Shangò demordeva nel suo proposito, che come un sudicio verme, giaceva a terra, senza gesti e senza coraggio.
In una situazione del genere, Oyà gli apparve e gli disse in questo modo:
—Shangò, cosa ci fai in quell'atteggiamento così sconveniente per un guerriero come te?
E Shangò rispose:
—Niente, obinì, il mio cavallo è fuggito con il mio valore di uomo coraggioso al seguito, e ora non potrò affrontare Oggùn, perché senza coraggio non sono niente, Oyà mía.
—Shangò, io sono e sarò sempre tua —rispose Oyà— ti presterò le mie trecce e la mia tunica, e così, il valore tornerà al tuo corpo.
Shangò si adornò la testa con le trecce e indossò gli abiti di Oyà sopra i propri vestiti e la spada. Poi prese il sentiero che portava all'albero di ceiba. Sebbene il suo coraggio era tornato alla normalità, non era meno vero che le sue gestualità maschili erano diminuite e mentre si avvicinava all'albero di ceiba, dove Oggùn aspettava con impazienza, Shangò raccolse la gonna che indossava e con sottile grazia passò davanti a Oggùn come una donna attenta e fragile. Oggùn, credendo che fosse Oyà, chinò il capo in un saluto cortese e disse:
—Hekua hei!
Dopo quel momento Shangò riprende i suoi gesti virili e spogliandosi delle trecce e della veste, con la spada alla cintura, marcia verso Olofi davanti al quale si è umiliato, posando la spada ai suoi piedi e aspettando prostrato su una stuoia.
Olofi gli ordinò di alzarsi e disse:
—Shangò, sei e sarai il proprietario dei raggi.
Shangò accettò naturalmente il suo beneficio e andò a cercare Oyà per prestargli l'altissima attenzione che aveva avuto con la sua persona, e gli parlò in questo modo:
—Ehi, voglio mostrarti il mio apprezzamento, dimmi come vuoi che lo faccia.
Oyà ha risposto:
—Condividere il mio letto.
E cominciarono a convivere, e accadde che Oyà fosse gelosa delle donne che apparentemente aveva Shangò. Volendo averlo solo per lei, un giorno andò da Ikù, lasciando Shangò sonnecchiante sulla sua stuoia e gli disse:
—Ikù, voglio che resti in casa mia.
Ikù ha risposto a Oyà:
—Finché mi darai da mangiare, io sono pronto a servirti.
Una volta concluso l'accordo, Oyà disse a Ikù:
—Dentro casa mia c'è Shangò, sarà per te una buona leccornia.
Ikù acconsentì e si fermò alla porta della casa di Oyà. Quando Shangò pensava di poter andarsene, non appena raggiunse la porta, udì il fischio acuto della morte: “Fuliiiiiiiiiiiii.......... "
Spaventato, Shangò si voltò verso l'interno, e Oyà si accontentò di stringere il corpo del suo amore, pulito dalle impronte lasciate dalle calde braccia delle sue amanti in passato.
—Shangò, cosa ci fai in quell'atteggiamento così sconveniente per un guerriero come te?
E Shangò rispose:
—Niente, obinì, il mio cavallo è fuggito con il mio valore di uomo coraggioso al seguito, e ora non potrò affrontare Oggùn, perché senza coraggio non sono niente, Oyà mía.
—Shangò, io sono e sarò sempre tua —rispose Oyà— ti presterò le mie trecce e la mia tunica, e così, il valore tornerà al tuo corpo.
—Hekua hei!
Dopo quel momento Shangò riprende i suoi gesti virili e spogliandosi delle trecce e della veste, con la spada alla cintura, marcia verso Olofi davanti al quale si è umiliato, posando la spada ai suoi piedi e aspettando prostrato su una stuoia.
Olofi gli ordinò di alzarsi e disse:
—Shangò, sei e sarai il proprietario dei raggi.
Shangò accettò naturalmente il suo beneficio e andò a cercare Oyà per prestargli l'altissima attenzione che aveva avuto con la sua persona, e gli parlò in questo modo:
—Ehi, voglio mostrarti il mio apprezzamento, dimmi come vuoi che lo faccia.
Oyà ha risposto:
—Condividere il mio letto.
E cominciarono a convivere, e accadde che Oyà fosse gelosa delle donne che apparentemente aveva Shangò. Volendo averlo solo per lei, un giorno andò da Ikù, lasciando Shangò sonnecchiante sulla sua stuoia e gli disse:
—Ikù, voglio che resti in casa mia.
Ikù ha risposto a Oyà:
—Finché mi darai da mangiare, io sono pronto a servirti.
Una volta concluso l'accordo, Oyà disse a Ikù:
—Dentro casa mia c'è Shangò, sarà per te una buona leccornia.
Ikù acconsentì e si fermò alla porta della casa di Oyà. Quando Shangò pensava di poter andarsene, non appena raggiunse la porta, udì il fischio acuto della morte: “Fuliiiiiiiiiiiii.......... "
Spaventato, Shangò si voltò verso l'interno, e Oyà si accontentò di stringere il corpo del suo amore, pulito dalle impronte lasciate dalle calde braccia delle sue amanti in passato.
Questa leggenda continua nel Oddun Osà tonti Oshè, quando Oshun salva Shangò dalla sua prigionia.
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